mercoledì 9 gennaio 2013

Miglioramenti sismici, è sufficiente la salvaguardia della vita?


Nel 2010 partecipai ad un corso di ingegneria strutturale sul tema del miglioramento sismico degli edifici esistenti.
La platea dei docenti fu davvero di altissimo profilo, comprendendo importanti professori universitari italiani da tempo impegnati sull'argomento.
In effetti, lo spessore qualitativo delle nozioni trattate ne fece un riferimento importante per le applicazioni professionali concrete, avendo anche modo di interloquire direttamente alla fine ogni sessione.

Un aspetto però mi lasciò molto perplesso. L'attenzione era concentrata esclusivamente sull'aspetto della salvaguardia della vita umana, mentre non fu mai toccato l'argomento del danno.
In effetti, non c'è dubbio alcuno che il primo obiettivo prestazionale da raggiungere quando si migliora un edificio esistente sia quello della incolumità delle persone. Non lontano però, per importanza, si dovrebbe collocare, a mio parere, la salvaguardia degli edifici dai danni.
Questo perché le tragedie italiane insegnano che sono i danni la principale causa del disastro sociale che segue un terremoto devastante. Se gli edifici, pur non collassando, sono gravemente inagibili, si generano una serie di effetti negativi molto gravi.
Ci sono i cittadini sfollati, con conseguenti costi e disagi sociali. Le attività commerciali devono chiudere o delocalizzare, con risvolti sinistri sull'economia. Gli ospedali e i servizi sociali non possono dare assistenza. E così via.

Alla fine del corso fu organizzato un breve dibattito dove mi permisi di porre la questione direttamente a colui che considero, per aver studiato su molte sue pubblicazioni, un luminare del campo, il professor Gaetano Manfredi dell'università Federico II.
Dimostrando un'onesta intellettuale fuori dal comune (non è scontato che un accademico passi oltre la diplomazia istituzionale in un confronto pubblico), Manfredi mi diede ampiamente ragione, sottolineando tuttavia le problematiche economiche dei costi realizzativi.

Inspiegabilmente, le nuove ntc08 non accennano esaustivamente al problema, incentrando tutti gli interventi di miglioramento ed adeguamento del capitolo 8 al rispetto dello stato limite di salvaguardia della vita.

Il problema però esiste e può portare a strani paradossi, soprattuto in tema di ripristino degli edifici danneggiati da un terremoto.
Accenno al più significativo.

Si immagini un edificio in cemento armato che, investito da un sisma molto severo, riporti forti danni a tamponature e tramezzi tali da renderlo inagibile.
Tecnicamente, si può concludere che l'edificio ha violato lo stato limite di danno (si è appunto danneggiato) ma ha garantito lo stato limite di salvaguardia della vita (non è crollato).
Si decide quindi di impostare un progetto di adeguamento sismico che contempli (come prescrivono le ntc08) il raggiungimento della salvaguardia della vita, scartando invece qualsiasi controllo sullo stato limite di danno (le ntc08 non lo prescrivono).
Tali approcci sono frequenti, per esempio tutti quelli che prevedono il solo utilizzo degli frp (fasciature con fibre di carbonio) per innalzare resistenza e duttilità  di travi, pilastri e nodi. La rigidezza globale però rimane sostanzialmente inalterata rispetto all'edificio originario, per cui gli spostamenti sotto sisma restano anch'essi invariati.

Ipotizziamo ora che torni nuovamente un terremoto, della stessa intensità di quello iniziale. Domanda: come si comporterà l'edificio?
Risposta: esattamente come si è comportato la prima volta, cioè danneggiandosi gravemente, ma senza crollare.
Questo perché nell'ipotetico progetto, ci si è occupati dello stato limite di salvaguardia della vita (che però era stato rispettato) senza intervenire sullo stato limite di danno (che invece era stato violato).

Bene. L'esempio mostra come, talvolta, conformarsi alla legge può non essere sufficiente per raggiungere l'eccellenza progettuale. Come comportarsi allora quando si progetta un miglioramento sismico?
Un primo passo avanti è la chiarezza con il committente: se il budget è limitato e davvero non consente di occuparsi del miglioramento dell'edificio nei confronti del danno da sisma, lo si deve spiegare bene.
In secondo luogo, è opportuno valutare soluzioni (e ne esistono diverse) che, contemporaneamente al miglioramento dello stato limite di salvaguardia della vita, siano efficaci nella protezione dai danni.

Per esempio, un miglioramento sismico con elementi irrigidenti (setti in cemento armato o controventi in acciaio), innalza di molto la capacità sismica nei confronti del danno da terremoto perché abbassa gli spostamenti globali durante una scossa.
Si può valutare anche, fondi permettendo, l'impiego di tecnologie passive, come l'isolamento alla base, anch'esso passivante rispetto al danno.

Nei casi estremi (vedi l'esempio delle fibre di carbonio), nulla vieta di studiare interventi migliorativi sugli elementi secondari, per esempio di anti ribaltamento delle tamponature.

La morale del post è tutta in una filosofia che cerchiamo sempre di portare avanti presso lo Studio: il dettato normativo è condizione necessaria nella progettazione, tuttavia lo spirito critico verso di essa porta a risultati migliori e più efficaci nella pratica professionale.

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- DISCLAIMER: IL CONTENUTO DI QUESTO POST E' UNA RIFLESSIONE SU TEMI INERENTI L'INGEGNERIA E L'ARCHITETTURA. NON E' PERTANTO ASSIMILABILE AD UN ARTICOLO SCIENTIFICO NE' CONTIENE DISQUISIZIONI ESAUSTIVE SUGLI ARGOMENTI TRATTATI. L'AUTORE NON E' QUINDI RESPONSABILE DELL'UTILIZZO DEI CONTENUTI TRATTATI E DELLE RELATIVE CONCLUSIONI.-

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